Movimenti lavorativi

(Sottotitolo: Eravamo stati in pace per un po’)

Una categoria di vicende personali e professionali nelle quali questo blog mi ha sempre seguito è quella dei miei traslochi da un ufficio all’altro.

Devo premettere che solo chi vive o ha vissuto in un ufficio conosce i drammi, le macchinazioni, le congiure e le tattiche che si nascondono dietro l’assegnazione o la scelta di un posto in un ufficio.
La posizione e la dimensione del locale, la sua esposizione, le caratteristiche “edilizie”, il numero, lo stile e la vetustà dei mobili, la ricchezza delle suppellettili, la presenza e l’unicità delle dotazioni tecnologiche, sono tutti parametri che possono indurre mansueti travet a trasformarsi in mostri assatanati, disposti a ogni perfidia e compromesso per poter avere un metro in più, la lampada più elegante, o il telefono più moderno.

Personalmente, non riesco ad appassionarmi a queste dinamiche. Mi piace avere un ufficio confortevole, ci mancherebbe. E spazioso abbastanza per distribuire opportunamente le mie scartoffie senza sembrare immerso nel casino. Ma ho sempre cercato di stare alla larga dall’ansia da inseguimento dell’ufficio, e al relativo stress da trasloco, e destinare le mie energie a miglior causa.

Malgrado questo, come chi mi legge da tempo sa bene, nella mia vita lavorativa degli ultimi anni ho “sopportato” un discreto numero di cambi di ufficio.
Voi mi avete seguito nel trasloco-esodo dal secondo piano della vecchia sede al terzo della nuova, con la ventina di scatoloni che hanno trovato definitiva sistemazione nella nuova sede solo dopo alcuni mesi.
Poi mi avete accompagnato nel passaggio dal terzo al secondo piano, prima verso un ufficio e dopo poco verso un altro più ampio, per l’arredo del quale avevo anche lanciato un prestigioso concorso di architettura.

Dopo di quello, sono stato tranquillo per un bel po’. Ma alla fine, come tutti gli incubi che prima o poi ritornano, un bel giorno dello scorso dicembre il mio capo mi ha detto: “a fine anno qui al terzo piano si liberano un po’ di uffici,  penso che sia il caso che tu ti trasferisca in uno di quelli”.
Ora, io nel mio ufficio stavo bene, mi ero affezionato alla vista di cui godevo dalla finestra, caratterizzata dalla presenza incombente di un traliccio dell’alta tensione, ma anche abbellita (almeno nelle rare giornate di tempo limpido) dal profilo dei rilievi delle Prealpi comasche e bergamasche.

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Panorama con traliccio, in giornata di sereno

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Panorama innevato

Ma al capo non si può dire di no, e ho lentamente cominciato a convincermi della ineluttabilità dell’evento.

Un po’ di settimane orsono, il trasferimento è stato effettuato. Contrariamente a quanto temevo, è stato rapido e indolore, perché non ho dovuto nemmeno fare gli scatoloni e mi hanno trasferito i mobili senza nemmeno svuotarli.
Adesso – mentre consulto il manuale Fantozzi-Filini per capire se il passaggio dal secondo al terzo piano vale di più della riduzione di metri quadri, e per valutare se la diminuita distanza (fisica) dal capo va interpretata come un bonus o come una sfiga – mi sto lentamente adattando al fatto che la tastiera del computer è ora alla mia destra mentre prima era a sinistra… Per il momento, ho rimediato solo una buona quantità di ginocchiate contro la gamba del tavolo, che è dal lato “sbagliato”.

Dimenticavo. Posso non fare un accenno al nuovo panorama? Eccolo qui, in foto panoramica (scusate ma il tempo è brutto. Metterò foto più “bella” appena possibile). Elettrodotto, parcheggio, pianura a perdita d’occhio, e campo di calcetto quasi in primo piano. Vediamo il lato positivo: d’estate, quando la copertura sarà tolta, potrò guardarmi pure la partita standomene comodamente in ufficio…

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Una risposta a Movimenti lavorativi

  1. arielisolabella ha detto:

    Papero semovente….

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